Wine By Barbara Ronchi della Rocca October 27, 2017
Dimenticate, nell’after-ski a venire, la girandola di punch e grolle: l’happy-hour della stagione fredda si chiama vino. Ideale se prodotto in montagna, magari nella magica Vallée.
Ma chi non è così aggiornato sui nettari ottenuti dai vigneti più alti d’Europa, si limita a un buon bicchiere di rosso servito con la classica polenta concia o qualche fettina di lardo di Arnad. Voi, non accontentatevi e osate. E’ il momento di andare oltre il luogo comune. Intanto bando ai pregiudizi, non sono più i vini di montagna di un tempo.
E per fortuna. Non voglio certo sminuire la fatica e l’impegno dei vignerons del passato, protagonisti di una viticultura eroica con viti aggrappate ai pendii, su terrazzamenti strappati alle rocce. Ma oggi ci sono conoscenze in più, c’è una nuova tecnologia, che crea un prodotto per certi versi nuovo, di una qualità che un tempo non era possibile ottenere. E non più paragonabile all’idea che ne avevamo.
Per esempio, i bianchi valdostani erano accusati di avere poco “corpo” , ma uno dei pochi esempi di ice-wine italiano,
il Gewürztraminer, in versione “vendemmia tardiva” raggiunge i 15°! E dai grappoli fatti appassire al chiuso, fino a che non perdano quasi tutta l’acqua, esaltando la ricchezza di un sapore zuccherino e aromatico, si ricava un ottimo vino passito che, insieme con il passito di Chambave o il Nus Malvoisie – affinato in botte – è l’ ingrediente di lusso per preparare lo zabaglione.
Ma i gourmet del XXI secolo preferiscono accompagnarli con formaggi stagionati e erborinati. Oppure gustarli come vino da dopocena, se non proprio da meditazione, almeno da (piacevole) conversazione!