Cor des Alpes_Copyright Etienne Bornet
Il Corno d’Alpe, nuovo vanto (e piacevole scoperta) del turista in vacanza in Svizzera a Nendaz, nel cantone Vallese. Qui si organizzano festival, contest musicali, lezioni di gruppo e persino individuali con i massimi esperti di questo strumento un tempo caro ai pastori…oggi ambito trofeo.
Ci si chiederà, “Cosa sarebbe Nendaz, nel cuore della Svizzera vallese, senza i suonatori impettiti di Cor des Alpes, o corno d’Alpe, stretti in abiti scuri accesi da una camicia bianca sotto il panciotto rosso?” Chissà. Certo è che questo originale strumento musicale in legno chiaro di abete, a forma di pipa gigantesca, percorso da venature sottili-sottili, da cui scaturisce un suono lungo e profondo, contribuisce non poco a dare una certa immagine della Svizzera, da cartolina appunto, con i suoi pascoli verdeggianti e le sue montagne costellate di laghi, ghiacciai e cascate.
E forse per snobismo o per mera passione ma sono sempre di più i turisti che si affannano a imparare in estate i segreti del cor des Alpes a Nendaz, cittadina che vanta anche l’imprimatur sui corsi musicali organizzati in collaborazione con Nathalie Monory e Nicolas Devènes, e la cui durata varia, a seconda delle esigenze, dall’incontro di poche ore ai cinque giorni di perfezionamento consecutivi: per esempio lo stage in calendario dall’11 al 15 luglio. Il fine? Per i novizi, la speranza di arrivare preparati all’appuntamento, dal 21 al 22 luglio, con le lezioni tenute dal grande virtuoso Arkady Scilkloper, considerato come il Glenn Gould del Cor des Alpes; e se non ci credete, il grande musicista russo ha all’attivo non solo diverse registrazioni discografiche ad attestarlo ma anche numerose esibizioni nelle migliori sale del mondo, con un originale repertorio che spazia da quello folkloristico sino all’etno-jazz dalle tonalità a dir poco sorprendenti; basti guardare uno dei tanti video su You Tube per rendersene conto.
Cor des Alpes_Copyright Etienne Bornet
Non stupisca quindi che la ridente località turistica svizzera, (6000 abitanti all’anagrafe, con la stragrande maggioranza che parla francese, e ‘ben’ ventitrè residenti di lingua italiana, fonte Wikipedia) per alcuni giorni si trasformi nella brulicante capitale internazionale del corno d’Alpe: l’occasione è l’attesissimo Valais Drink Pure Festival, quest’anno dal 22 al 24 luglio, che chiama a raccolta un’ensemble composto da oltre 150 musicisti che si esibiranno sullo scenografico sfondo naturale della Plaine des Ecluses (nelle giornate di venerdì e sabato) e nella ancor più suggestiva ‘location’ del lago nero di Tracouet (la domenica).
E che diletteranno il pubblico, di tutte le età e nazionalità, svelando l’alchimia di suoni intrinseca a questo originale strumento che, possiamo ben immaginarlo, vanta origini ataviche. Un tempo, infatti, veniva usato dai pastori, anche di provenienza asiatica, per richiamare di sera a raccolta il gregge. Uno dei primi accenni al corno d’Alpe lo troviamo nel 1555 negli scritti del naturalista zurighese, Conrad Gessner, che descrive una sorta di corno ‘lituum alpinum’, per dirla con i latini , composto da due elementi cilindrici in legno ricurvo e cavo all’interno, tenuti insieme da un viluppo di vimini. Ma veniva anche utilizzato come efficace strumento per comunicare le notizie da una vallata all’altra. Il suo suono, infatti, in presenza di vento, si propaga a una distanza di circa dieci chilometri.
Ma fu solo nel 1826 che il Cor des Alpes vide una certa affermazione tra la gente, grazie all’intervento del nobile bernese, Niklaus von Mülinen, che decise di affidare al musicista Ferdinand Fürchtergott la realizzazione di tali strumenti (all’epoca avevano una dimensione più corta e affusolata) insieme all’insegnamento di corsi musicali nella città di Grindelwald.
Benché il suono del Cor des Alpes iniziasse ormai a farsi conoscere, la sua diffusione fu di breve durata, tanto che agli inizi del Novecento rischiò addirittura di scomparire dagli annali della musica. Come dimostra la presenza di un solo suonatore di Cor des Alpes, l’8 maggio 1910, in occasione della nascita della società federale di Yodel.
Ma i tempi cambiano e oggi suonare il Cor des Alpes sta diventando una specie di moda in Svizzera, Paese dove si contano ormai quattromila suonatori di un certo calibro, senza contare i neofiti che si avvicinano alla pratica dello strumento la domenica o nel tempo libero (in special modo in estate); così come sono sempre più frequentati da un pubblico attento gli incontri musicali di un certo prestigio: come appunto il Valais Drink Pure Festival che avrà tra i momenti clou le esibizioni del Quatour ( che nasce nel da un’iniziativa dell’Ente Turistico di Nendaz nel 2004 e che ha il compito di promuovere l’immagine della località turistica, del cantone Vallese, e più in generale del Corno d’Alpe in Svizzera, ) e del Gruppo di Nendaz (composto da sedici elementi è stato fondato nel 1984 da Aimé Devènes).
Possedere tra le mani uno strumento così antico e nobile rimanda a una certa Arcadia (fatta appunto di pastori che in cima a una montagna, magari attorno a un fuoco, si dilettavano nella sua musica e si scambiavano messaggi tra una vallata e l’altra al crepuscolo) e ha pertanto un suo indubbio fascino. Ma a quest’immagine idilliaca contribuisce la sua preziosa fattura: per realizzare un Cor des Alpes occorre intanto una certa qualità di legno. “Si tratta dell’abete rosso –épicéa- che cresce nella foresta di Risou, quella del Jura, tra la Francia e la Svizzera.”, come spiega François Morisod, artigiano che ha legato il suo nome alla produzione a mano del corno d’Alpe. “Da questa regione boschiva, particolarmente fredda e umida, si ricava un legno dalla fitta venatura –dovuta a una crescita lenta su un suolo povero- che viene lasciato stagionare lentamente tra i cinque e gli otto anni, in modo da esaltarne le sue qualità. Occorrono, poi, ottanta ore di lavorazione per ricavarne un buon strumento (e tanta colla resistente all’acqua). Se è vero, infatti, che il Cor des Alpes può essere realizzato in un pezzo solo, sono diverse le richieste di realizzarlo in due o tre pezzi, per comodità di trasporto; ma è la lunghezza a far variare la tonalità (in genere fa o fa diesis); quanto al tocco finale, spetta alla mano d’artista far spuntare sul ‘pavillon’, la parte terminale a campana, un bouquet di romantici e colorati fiori alpini.
Albert Valloni
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